Nel presente articolo intendo porre l’accento sul concetto di linguaggio musicale come corpus di elementi musicali ricorrenti nella azione dei musicisti di riferimento, ovvero di quei musicisti riconosciuti dalla comunità jazz, che, attraverso il loro lavoro, hanno messo in campo quelle formule melodiche e di arrangiamento, che sono poi state riprese da cosi tanti musicisti da diventare una sorta di codice o , se si vuuole, di “gergo”, in grado di fornire una base condivisa di elementi da mettere in atto durante le perfrformance e quindi capaci di sicronizzare la azione musicale durante le esecuzioni improvvisate. In particolare il lavoro delle big band, attraverso la codifica del linguaggio ritmico operata dagli arrangiatori degli anni 30′ del secolo scorso, ci ha lasciato un bagaglio di formule che arricchiscono ritmicamente il lavoro di tutti i solisti del jazz che, d’altro canto, proprio in quelle big band hanno trascorso gli anni della loro formazione. Il linguaggio orchestrale ci mette dunque a disposizione una quantità di formule la cui diretta utilità viene analizzata e messa in pratica nella sezione di questo sito dedicata alle linee guida e alla loro elaborazione melodica.
Il Linguaggio Musicale: Elementi ricorrenti, evoluzione e epplicazioni nel Jazz
Il linguaggio musicale rappresenta un sistema complesso di segni e simboli che permette di comunicare emozioni, significati e idee attraverso il suono. Alla base di ogni linguaggio musicale vi è la ricorrenza di elementi distintivi – come melodie, armonie, ritmi e timbri – che creano un’identità riconoscibile per la scuola o il genere di appartenenza. Nel jazz, questa ricorrenza è fondamentale, poiché funge da collante tra le diverse epoche, consentendo al linguaggio di evolversi senza perdere il legame con la tradizione.
Le Origini: New Orleans e Chicago
Il jazz nasce a New Orleans nei primi anni del Novecento, dove il melting pot culturale di influenze africane, europee e caraibiche dà vita a un linguaggio musicale basato sull’improvvisazione collettiva e sulla sincopazione. Tra i pionieri troviamo figure emblematiche come Louis Armstrong, che rivoluzionò il concetto di solismo, Jelly Roll Morton, che codificò il jazz come forma artistica, e Bix Beiderbecke, il cui lirismo sul cornetto rappresentò una delle prime innovazioni stilistiche.
Altri musicisti di riferimento includono King Oliver, maestro dell’uso delle sordine, Sidney Bechet, primo virtuoso del sassofono soprano, Johnny Dodds, clarinettista dallo stile incisivo, e Kid Ory, trombonista che contribuì alla definizione del ruolo degli ottoni nel jazz tradizionale. A New Orleans, le band come la Original Dixieland Jazz Band e la Creole Jazz Band stabilirono formule ricorrenti che sarebbero diventate centrali anche nelle successive migrazioni del jazz.
Con lo spostamento verso Chicago, il jazz acquisì un carattere più urbano e solistico. Musicisti come Earl Hines, pianista dallo stile innovativo, Zutty Singleton, batterista precursore dello swing, e Benny Goodman, che successivamente guadagnerà fama come “Re dello Swing”, furono figure centrali in questo passaggio.
Le Orchestre Swing e la Codifica del Linguaggio
Negli anni ’30 e ’40, il jazz raggiunse la sua massima popolarità grazie alle grandi orchestre swing, che codificarono il linguaggio jazz attraverso arrangiamenti scritti. Gli arrangiatori, come Fletcher Henderson, Don Redman, Billy Strayhorn e Benny Carter, trasformarono le formule ricorrenti in strutture ritmiche e armoniche che definivano l’estetica del periodo.
Tra le orchestre più influenti si ricordano:
La Duke Ellington Orchestra, che combinava raffinatezza compositiva e esplorazione timbrica.
La Count Basie Orchestra, celebre per il groove rilassato e l’uso dei riff.
La Glenn Miller Orchestra, simbolo della musica da ballo degli anni ’40.
La Jimmie Lunceford Orchestra, nota per l’eleganza degli arrangiamenti e la precisione ritmica.
La Chick Webb Orchestra, che lanciò Ella Fitzgerald.
La Lionel Hampton Orchestra, pioniera nello sviluppo del vibrafono come strumento solistico.
La Tommy Dorsey Orchestra e la Harry James Orchestra, entrambe cruciali nella diffusione del jazz swing presso il grande pubblico.
Le formule sviluppate in questo periodo – progressioni armoniche, riff, call and response – divennero parte integrante del linguaggio jazz, influenzando anche il lavoro dei solisti.
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Bebop, Hard Bop e Jazz Modale
Con il bebop degli anni ’40, il jazz divenne una musica più intellettuale e meno funzionale. Artisti come Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk e Bud Powell svilupparono un linguaggio basato su progressioni armoniche complesse, arpeggi e scale cromatiche. Il bebop era una musica d’ascolto, non più di intrattenimento, pensata per un pubblico di appassionati e musicisti.
Negli anni ’50, il hard bop portò il bebop in un contesto più caldo e bluesy, con l’influenza del gospel e del rhythm and blues. Tra i protagonisti troviamo Art Blakey, leader dei Jazz Messengers, Horace Silver, compositore di temi ricchi di soul, e sassofonisti come Sonny Rollins, Dexter Gordon e Cannonball Adderley.
Il jazz modale, sviluppatosi negli anni ’50 e ’60, abbandonò la complessità armonica del bebop per concentrarsi su scale e modalità. Album come Kind of Blue di Miles Davis e le opere di John Coltrane, come A Love Supreme, esplorarono la spiritualità attraverso strutture semplici ma profondamente evocative.
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Free Jazz, Jazz Rock e Fusion
Negli anni ’60, il free jazz di artisti come Ornette Coleman, Cecil Taylor e Albert Ayler ruppe con le convenzioni, eliminando la necessità di progressioni armoniche predefinite e ritmi regolari. Fu una rivoluzione totale, che ampliò il linguaggio jazz fino ai suoi limiti più astratti.
Parallelamente, il jazz rock e la fusion degli anni ’70 combinarono l’improvvisazione jazzistica con le sonorità del rock e del funk. Album come Bitches Brew di Miles Davis e band come i Weather Report (con Joe Zawinul e Wayne Shorter) o la Mahavishnu Orchestra (guidata da John McLaughlin) furono centrali in questa trasformazione. Altri nomi di rilievo includono Herbie Hancock, Chick Corea, Tony Williams, Billy Cobham, e Jaco Pastorius, tutti impegnati nell’esplorazione di nuove possibilità sonore.
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Studiare il Jazz: Elementi ricorrenti e tradizione
Per chi vuole imparare a suonare jazz, lo studio delle formule ricorrenti è fondamentale. Analizzare il lavoro dei grandi maestri permette di individuare i materiali più utili per sviluppare un linguaggio personale che sia coerente con la tradizione. Elementi come: Le frasi melodiche di Louis Armstrong o Charlie Parker, le progressioni armoniche di Duke Ellington o Thelonious Monk,I pattern ritmici di Art Blakey o Max Roach, le idee modali di Miles Davis o John Coltrane, leformule ritmiche e melodiche del linguaggio orchestrale.
Questi materiali costituiscono la base per costruire una propria identità musicale, pur restando radicati in un linguaggio condiviso. La padronanza di questi elementi consente non solo di essere riconosciuti dalla comunità jazzistica, ma anche di dialogare con altri musicisti, mantenendo viva la tradizione e contribuendo alla sua continua evoluzione.