Impostazione didattica di Sax on Line

Il concetto di “Pratica” 

I termini in italiano in uso per definire gli esercizi in musica derivano dall’ambito  classico e vanno da “studio” ad “esercizio” e si riferiscono principalmente a materiale didattico scritto che riproduce in scala ridotta le difficoltà di ordine tecnico ed espressivo che l’esecutore incontrerà nell’affrontare un vera composizione. L’ambito della teoria musicale è prevalentemente inteso come separato dalla pratica strumentale e da’ luogo alle varie materie (solfeggio, armonia, composizione etc) che vengono affrontate, di nuovo, attraverso esercizi di vario tipo.

Praticare Jazz significa invece svolgere una attività dove teoria e tecnica sono esercitate contemporaneamente  e fuse insieme in qualcosa che è da subito  suscettibile di variazioni e che da subito entra a far parte in modo dinamico del bagaglio di ciascuno inteso come “unicum” individuale. Nel Jazz infatti la elaborazione di un linguaggio improvvisativo è, come è noto, un processo fortemente individualistico nel quale gli elementi appresi si integrano con quelli già acquisiti modificandoli e dando luogo ad una trasformazione che continuamente rimette in discussione aspetti pratici, teorici ed esecutivi. Questo concetto è comunemente espresso con il  termine  inglese “working progress”. Una pratica, quindi, anche quando supportata da una compilazione scritta non va intesa come riproduzione seriale di un brano la cui esecuzione possa essere valutata attraverso la attribuzione di un voto che numericamente possa descrivere il grado di accostamento di quella esecuzione ad un modello di perfezione ma come una guida melodica aderendo alla quale le proprie cognizioni teorico-pratiche possano aderire temporaneamente ad una forma definita. La abbondante ripetizione di questo processo su materiale diverso educa nell’esecutore la capacità di calare empiricamente in forme definite le proprie cognizioni teorico-pratiche sino al raggiungimento, mai definitivo, della capacità di svolgere lo stesso processo in modo sempre più estemporaneo e sempre più indipendente dalla traccia iniziale.

 Back to Basic

Ogni musicista sufficientemente preparato che si avventura nel campo della didattica viene colto dall’impulso di trasferire agli allievi quanto più sapere sia possibile.  E cosi vengono tirati in ballo compendi come questo ( JazzTheory – scarica pdf ) che possono essere paragonati, dal punto di vista di un musicista alle prime armi,  a trattati di fisica da far studiare a chi voglia farsi un giro in bicicletta. Probabilmente le forze vettoriali che agiscono durante l’azione di un ciclista non sono più semplici di un trattato di teoria musicale eppure ogni genitore sa che dopo qualche capitombolo il suo bambino imparerà e gestirle. Spinta, inerzia, curve, velocità, asperità del suolo etc. etc. Eppure il jazz nasce come musica popolare e nei suoi momenti storici propulsivi, come il passaggio dal rag time all’improvvisazione o la nascita dello swing o del bebop, l’apporto della “scienza armonica” è stato del tutto indiretto e giocato su un piano istintivo. Allora per dovere di cronaca scarichiamoci il trattato in pdf e se mai la nostra attività diventerà una professione riserviamoci di approfondire tutti gli aspetti possibili. Ma intanto incominciamo a suonare.

Un articolo che ho trovato veramente interessante a questo proposito è questo di Lee Konitz (Scarica articolo). Il titolo “back to basic” significa in breve: studiamo prima di tutto i brani. Strada facendo ci servirà una scala. Studiamo la scala per un po’ (10 minuti? un ‘ora?). Torniamo al brano e procediamo con quello che ci serve per suonarlo. Al successivo ostacolo dedichiamo di nuovo un po’ di tempo a risolvere quel problema specifico e poi di nuovo torniamo al brano. “Back to basic” , appunto.

 

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